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Nuov modelli di apprendimento per una formazione medica utile: tra l’evidence-based medicine e la real life con il Prof. Roberto Caporali

ottobre 5, 2022by Nicoletta VialiComunicazione

La definizione di David L. Sackett, che con Archibald Cochrane è stato uno dei ‘padri’ della EBM, è la seguente:

“l’integrazione delle migliori prove di efficacia clinica con l’esperienza e l’abilità del medico ed i valori del Paziente”.

L’Evidence Based Medicine (EBM), quindi, è la medicina basata sulle prove di efficacia. Permette al medico di integrare la propria esperienza sul campo, le migliori prove di efficacia clinica e le preferenze, secondo i propri valori, dei suoi pazienti.

Da quanto esposto, è chiaro che i concetti chiave della EBM, la ‘medicina fondata sulle prove’, sono tre:

  1. L’integrazione delle migliori ‘prove di efficacia clinica;
  2. L’esperienza e l’abilità del medico;
  3. I ‘valori del paziente’.

Il paziente, quindi, riveste un ruolo fondamentale e deve essere informato non solo sul perché gli vengono consigliati determinati esami e perché gli viene prescritta una certa cura. Il paziente, infatti, dev’essere edotto sul fatto che la cultura e la logica che stanno dietro alla sua terapia non sono casuali ma basano su dati di ricerca scientifica rigorosa applicati ad hoc, per ogni singola persona.

Proprio per ottemperare al meglio ai principi della EBM, negli ultimi anni, ha assunto sempre più rilevanza la Real Life, ovvero l’attenta osservazione dei dati provenienti dalle cartelle cliniche di pazienti reali. Questi dati vengono inseriti in grandi database definiti ‘Registri’ che raccolgono così informazioni di un gran numero di casi trattati anche per periodi molto lunghi.

Questa moderna visione che prende origine dalla Evidence Based Medicine e dalla Real Life richiede sicuramente che i medici possano basare la loro preparazione su nuovi modelli di apprendimento che permettano loro di seguire i pazienti al meglio, rispettandone la loro unicità.

Evidence Based Medicine e la Real Life: l’intervista al Prof. Caporali

Ne parliamo con il Prof. Roberto Caporali, Direttore del Dipartimento di Reumatologia e Scienze Mediche del Gaetano Pini – CTO e Ordinario di Reumatologia, Università degli Studi di Milano.

Prof. Caporali, qual è lo stato dell’arte oggi sull’applicazione della Evidence Based Medicine e la Real Life in Italia?

“Negli ultimi anni si sono fatti decisi passi avanti nell’applicazione dell’EBM, nella comunicazione ai pazienti e nelle scelte condivise con il paziente. Sono presenti, a livello nazionale, raccomandazioni diagnostico-terapeutiche sviluppate secondo i criteri dell’EBM su molte patologie che possono fornire importanti informazioni ai medici ed ai pazienti. Tuttavia, molto deve ancora essere fatto nella raccolta dati provenienti dalla Real-Life per poter avere informazioni precise su un elevato numero di pazienti e su efficacia e sicurezza dei diversi trattamenti”.

Quali sono i nuovi modelli di apprendimento che permettono una formazione medica utile?

“Sono davvero molti i modelli di apprendimento e vanno dalla classica lezione magistrale sino ai progetti di formazione sul campo. Questi ultimi permettono un approfondimento importante di tematiche specifiche uscendo dalla logica della ‘lezione’ e passando, invece, al confronto su casi reali”.

Real Life e GISEA

Uno dei registri cui facevamo riferimento per la Real Life è tenuto dal Gruppo Italiano Studio Early Arthritis, in acronimo GISEA, vuole parlarcene?

“ Il Gisea è un gruppo di studio italiano che da anni si occupa di raccogliere dati relativi ai pazienti con patologie reumatologiche croniche immunomediate trattati con farmaci biotecnologici. Lo studio di questi dati, che provengono da diverse parti d’Italia, ha permesso e permette di valutare appieno efficacia e sicurezza dei trattamenti. Il registro collabora attivamente con altri registri europei, permettendo così analisi di un numero davvero molto elevato di pazienti e con indicazioni molto circostanziate relative ai farmaci, alla loro efficacia e ad eventuali problemi di sicurezza”.

In definitiva, è proprio questo un modello virtuoso che consente di perfezionare i percorsi di cura basandosi, da un lato sulle evidenze e, dall’altro, indagando, monitorando, osservando i pazienti nel loro reale vissuto di malattia. Quindi, rilevando dati reali sull’attività della malattia e sulla risposta alla terapia, con un controllo stretto e continuo per rendere la cura sempre più adeguata ed efficace.

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Comunicare per curare

agosto 30, 2022by Nicoletta VialiComunicazione

Qual è lo strumento di cura, non farmacologico, più potente che ci sia? La comunicazione efficace!

Comunicare, in effetti, non è solo trasmettere delle informazioni ma si realizza entrando in contatto con l’altro con il preciso intento di creare con esso una relazione.

La comunicazione efficace è quella in cui i tre livelli della comunicazione sono in armonia:

  • la comunicazione verbale è solo una minima parte dell’atto del comunicare e la si realizza tramite le parole, il linguaggio, i contenuti (7%).
  • il canale paraverbale che si esprime con la voce, il tono, la velocità, le pause, l’inflessione, il ritmo e la velocità (38%).
  • il canale non verbale o linguaggio del corpo che racchiude quei componenti della comunicazione che si trasmettono con lo sguardo, i gesti, la postura (55%).

Occorre precisare che le percentuali sopra riportate sono poco indicative ed assumono una maggiore significatività, nel caso in cui intervengono le emozioni e quando si registra una incongruenza tra “cosa diciamo e come lo diciamo”. (Albert Mehrabian)

 

Comunicare efficacemente per creare una relazione

Un medico comunica efficacemente con una paziente, mantenendo il contatto visivo. L'ascolto attivo consente di conoscere non solo il contesto in cui si evidenzia la malattia ma, a volte, anche da dove trae origine.
Un medico attento comunica efficacemente con una paziente, mantenendo il contatto visivo.

È evidente che, oggi più che mai, medici ed operatori sanitari, sono tenuti ad acquisire nuove competenze comunicative per poter dialogare e realizzare una relazione di fiducia con i propri pazienti.

Per realizzare una comunicazione efficace, occorre innanzi tutto, saper ascoltare dedicandosi pienamente all’altro per raccogliere, percepire e capire i suoi bisogni reali ed inespressi.

In questo ascolto attivo, la narrazione ha un ruolo straordinario che consente di conoscere non solo  il contesto in cui si evidenzia la malattia ma, a volte, anche da dove trae origine.

La narrazione descrive la malattia, il disagio all’interno del percorso di vita e l’ascolto, profondo ed attento, ci fa leggere spesso la trama nascosta nel racconto dell’altro. Nella prima fase dell’ascolto c’è il momento governato dagli aspetti emozionali, poi segue quello fattuale, dove gli aspetti concreti, i fatti, prevalgono. Nella fase successiva si realizza il momento dell’ascolto empatico, dove ci si compenetra nell’altro. La fase finale è quella generativa, ovvero quella fase dalla quale nasce il frutto dell’integrazione tra chi comunica ed è proprio da qui che inizia il “cammino insieme” verso un obiettivo comune.

Questo, di per sé, rappresenta un presupposto per migliorare l’audit, per raccogliere quegli elementi che contribuiscono a capire i motivi, le ragioni, le cause e tutto ciò che può essere alla base di un disagio, di una malattia, aiutandoci a migliorare il processo di cura.

 

Comunicare con le domande

Un medico abile nella comunicazione pone domande domande giuste, nel modo giusto, al momento giusto. La domanda è uno degli strumenti più potenti a disposizione del medico nella comunicazione con il paziente.
Un medico abile nella comunicazione pone domande domande giuste, nel modo giusto, al momento giusto.

Un altro elemento fondamentale risiede nella capacità di porre le domande giuste, nel modo giusto, al momento giusto. Le domande sono la chiave di ingresso nelcervello e nell’anima dell’altro.

Le domande consentono di scoprire bisogni ed opportunità e si possono porre in modalità “chiusa” che richiedono risposte brevi (es. : si oppure no),  o “aperta” e queste invitano l’altro ad esprimersi, ad esporre la sua posizione in merito al quesito posto.

Esistono diverse tipologie di domande, ci sono quelle diagnostiche, quelle strategiche, quelle empiriche, creative, di missione. Ognuna può aiutare a comprendere e ad innescare nell’altro un pensiero, una decisione, un’azione e facilitare la comprensione di ciò che spesso viene celato, nascosto e lasciato lì, nel profondo dell’ incomprensione che genera solitudine.

La comunicazione tra medico e paziente è un tipo di comunicazione asimmetrica. Non vi è simmetria tra chi soffre e versa in condizioni psicofisiche precarie rispetto a chi, dall’alto di una condizione di forza, derivante dal sapere e dal potere della funzione salvifica del curante, si accinge ad alleviare le pene dell’altro. Lo sforzo per ridurre questa asimmetria deve iniziare dal medico; occorre abbandonare le posizioni di potere derivanti dal sapere medico ed intraprendere un nuovo cammino verso un’alleanza sia diagnostica, sia terapeutica con il paziente.

Quella appena descritta, è una strada che accorcia le distanze tra medico e paziente ed è un metodo che rinuncia alle gerarchie di potere basate sul sapere per raggiungere insieme un nuovo modo di curare, che non combatte la malattia ma cura la persona.

Articolo a cura di Rosario Gagliardi

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Formedica S.r.l, Provider Ministeriale n°157, è un’azienda dedicata, sin dal 2002, alla creazione di progetti formativi per lo sviluppo delle persone e delle organizzazioni in ambito medico-sanitario, industriale e sociale. Attraverso gli strumenti scientifici, comunicazionali, manageriali e dell’analisi dei fabbisogni, persegue gli obiettivi di qualità e di efficacia nella formazione in ambito sanitario.